Chiesa di S. Chiara
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La chiesa di S. Chiara a Sulmona ha origini duecentesche legate al nome della beata Florisenda da Palena che tra il 1260 e il 1269 fonda la chiesa con annesso monastero delle clarisse. Della struttura originaria si conserva ben poco dal momento che già con il terremoto del 1456 si rende necessaria la ricostruzione; il nuovo complesso con ogni probabilità insiste ancora sull'impianto duecentesco, con la chiesa a navata unica tangente lungo il fianco destro del monastero, che solo nel XVI secolo, con l'edificazione di nuovi ambienti, assume la forma quadrangolare (il portico del chiostro risale al 1518). Anche di questa fase non si conserva molto a causa di un altro terribile terremoto che nel 1706 distrugge gran parte della città, danneggiando gravemente sia la chiesa che il convento. Nel 1711 si dà inizio ai lavori di riedificazione che sotto la guida dell'architetto bergamasco Pietro Fantoni decretano il definitivo affermarsi dello stile barocco. In Santa Chiara, come in tante altre chiese di più antica origine, il linguaggio barocco entra in dialettico rapporto con le strutture preesistenti e senza prescindere da esse riesce a rimodellare e riqualificare la spazialità secondo le nuove esigenze di gusto. Oltre alla ricchezza degli interni, a caratterizzare il complesso è il suggestivo cortile a selciato d'ingresso: esso si apre allo sguardo solo dopo aver percorso la lunga scalinata che muove da piazza Garibaldi ed aver attraversato il portale settecentesco del palazzo, diaframma che impedisce dal basso la visione dell'insieme. Nello spazio raccolto della piccola corte si aprono la facciata della chiesa realizzata su progetto del Fantoni e i bellissimi portali dell'ex-monastero, che con le loro mostre rappresentano uno dei più raffinati e felici esempi di decorazione barocca. La facciata della chiesa non è particolarmente elaborata; scandita da un doppio ordine di paraste e da una profonda cornice marcapiano, presenta un profilo leggermente ondulato, con il corpo centrale, su cui apre il portale e al di sopra una grande finestra, che emerge rispetto alla parete delineando delle brevi concavità. Il portale maggiore, sormontato da un timpano archivoltato, conserva le ante lignee settecentesche che mostrano in alto due stemmi intagliati a forte rialzo. Con il rifacimento Settecentesco si sceglie di non alterare il semplice impianto a sala della chiesa quattrocentesca ma, nel conferire maggior risalto alla zona presbiteriale, la quale viene alzata in altezza e arricchita da una cupola ellittica a profilo ribassato, si modifica e trasforma la spazialità interna. Per tutta la lunghezza la navata è ritmata da paraste a capitello corinzio chiuse da una cornice ricca di modanature da cui muove la copertura a botte; in maniera alternata rispetto alla parasta, lo spessore delle pareti è movimentato dall'aprirsi di due brevi nicchie per lato entro cui trovano spazio dei preziosi altari dai raffinati paliotti in marmo commesso realizzati da maestranze pescolane. Degne di nota sono la pala d'altare raffigurante Santa Chiara in gloria del famoso pittore di scuola napoletana Sebastiano Conca (sec. XVIII) e l'ovale con lo Sposalizio della Vergine, opera del sulmonese Alessando Salini (sec. XVI). La chiesa è inoltre impreziosita da un importante arredo in legno come le ante del portale maggiore risalenti al 1671, oggi smontate ed esposte all'interno della chiesa, nelle quali entro cornici variamente modanate sono intagliate figure di Santi. Sia lungo la navata che nel presbiterio si possono ammirare altre opere di raffinata ebanisteria come i coretti in legno scolpito e dorato e l'imponente cantoria di controfacciata, opere eseguite nel corso del XVIII secolo. Queste conservano ancora le fitte grate da cui le clarisse potevano assistere e partecipare alle liturgie; la chiesa infatti svolgeva anche funzioni parrocchiali, per cui si rendeva necessaria, dato il voto di clausura, la netta distinzione tra gli spazi aperti ai fedeli e quelli riservati alle monache. All'interno del monastero era comunque prevista una piccola cappella riservata al culto delle sole clarisse, un semplice vano quadrangolare risparmiato dal terremoto del Settecento, che conserva l'altare maggiore, e un'interessante pala dipinta del XVI secolo. Nel corso dell'Ottocento il monastero vive ancora un periodo florido e "aumentandosi di giorno in giorno il numero delle religiose" la badessa nel 1837 è costretta ad ampliare il dormitorio e il refettorio. Dopo pochi anni inizia comunque una lunga ed irreversibile fase di declino che Antonio De Nino puntualmente registra nelle schede redatte in occasione della visita al complesso del 1907; nel giro di qualche anno il monastero sarà abbandonato dalle clarisse. Da quel momento in poi le strutture sono state utilizzate per le più diverse funzioni: scuola, asilo, casa per anziani, ma anche campo di giochi e sala cinematografica. Oggi la cappella interna, insieme ad altri due vani, è utilizzata come spazio espositivo del Museo Diocesano di Arte Sacra, ed in occasione del recente restauro è stato restituito un interessante ciclo ad affresco databile tra la fine del XIII e l'inizio XIV secolo. Altri tre locali sono riservati alla Biblioteca Diocesana, nella cui sala-lettura allestita nell'ex-parlatorio è ancora possibile ammirare le bellissime mostre in pietra delle grate dietro le quali le clarisse potevano incontrare i visitatori; ai lati di ciascuna grata è ben conservato anche l'incavo con la struttura in legno che consentiva il passaggio di oggetti senza rendere necessario il contatto tra i visitatori e le clarisse, così come richiedeva la regola claustrale. Nelle altre stanze è esposta la collezione della Pinacoteca Comunale collegata alla rassegna di arte contemporanea che annualmente si svolge a Sulmona.