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Collegiata di Santa Maria del Colle

PESCOCOSTANZO (AQ): COLLEGIATE CHURCH OF SANTA MARIA DEL COLLE

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Come arrivare

Pescocostanzo (AQ)

 La chiesa di Santa Maria del Colle, altrimenti detta collegiata, è uno degli esempi più significativi e completi di Barocco abruzzese. Sorta in epoca rinascimentale oggi essa è il risultato di numerosi interventi di ricostruzione ed ampliamento succedutisi nel corso del XVI e XVII secolo. La denominazione di collegiata è legata alla localizzazione di un primo nucleo religioso sorto su di un colle all'esterno dell'originario centro urbano. Intorno all' XI secolo il paese si raccoglieva intorno ad una altura rocciosa posta a nord dell'attuale abitato ed aveva il suo riferimento religioso nella chiesa di Sant'Antonio Abate, oggi completamente trasformata dagli interventi di restauro. All'esterno delle mura cittadine, su un colle poco distante, nella seconda metà dell'anno mille venne edificata una chiesa piuttosto grande, la cui fondazione e posizione si spiegano con l'influenza della tradizione benedettina e in particolare dell'abbazia di Montecassino. La prima testimonianza documentaria ci viene fornita da un atto di donazione del 1108 in cui un certo Odone cedeva al monastero di Montecassino "la chiesa di S. Maria di Pescocostanzo... ed è stata posseduta da esso Monisterio per quarant'anni" (L. De Padova 1866, p. 23). Nessuna indicazione ci è stata tramandata circa la sua struttura originaria. Il 5 dicembre 1456 un terribile terremoto distrusse sia il paese sia la chiesa. La ricostruzione dell'edificio religioso fu immediata e tempestiva come testimonia l'iscrizione, riportata alla luce dai lavori di restauro nella seconda metà dell'Ottocento, incisa su una delle capriate lignee della navata centrale. Oltre che l'indicazione della data di ricostruzione, 1466, essa indica il curato, il preposto della chiesa di San Pietro Avellana, da cui la nostra chiesa dipendeva, e l'esecutore delle opere. Dopo il sisma il paese venne ricostruito ai piedi della rocca su cui era il centro originario estendendosi verso la collegiata, che così acquista funzione di spartiacque tra il nucleo urbano posto a nord, intorno alla rocca, e quello più nuovo di origine rinascimentale situato a sud. La collocazione sul colle ha fortemente condizionato la configurazione dell'organismo religioso. Costruita sulla linea del crinale, la chiesa presenta la facciata principale, orientata ad est, in corrispondenza della parte terminale del colle. Il forte dislivello rispetto alla strada sottostante ha reso impossibile la costruzione di una gradinata che collegasse la chiesa alla strada. Così l'accesso venne realizzato sulla facciata laterale dove minore era il dislivello. Questa soluzione ha reso necessaria la costruzione di una seconda facciata frontalmente alla strada che immette nel borgo antico e che vista dall'esterno ha tutta l'aria di una facciata principale. La larghezza del crinale ha condizionato le dimensioni e la struttura della chiesa che non potendosi estendere molto in lunghezza si sviluppa soprattutto in larghezza con ben cinque navate. Tutte queste circostanze hanno portato a continue trasformazioni e interventi nel corso dei secoli, non sempre documentati. Gli studiosi hanno tentato una ricostruzione dell'evoluzione dell'organismo attraverso analisi stilistiche e costruttive. Nel 1466, all'epoca della ricostruzione, la chiesa era a tre navate, ciascuna suddivisa in tre campate, costituite da archi a tutto sesto poggianti su pilastri a croce. Successivo ma di datazione incerta è stato l'ampliamento laterale con la costruzione della quarta e quinta navata cha ha determinato una pianta quasi quadrata. Alcuni studiosi ritengono che le navate laterali fossero previste già dal progetto del 1466, altri spostano la datazione al Cinquecento. Di data certa, invece, è la costruzione della facciata principale sulla quale sono presenti due iscrizioni: una sul fregio del portale indica l'anno 1558, l'altra su una lapide indica l'anno 1561. Nel 1606, data incisa su una trave del soffitto, venne realizzato l'innalzamento del tetto allo scopo di aprire due finestre come fonti di illuminazione per la navata centrale e fu realizzata la copertura in legno intagliato della navata centrale. Nel corso del Cinquecento fu realizzata anche la facciata laterale, sul lato settentrionale dell'edificio, sulla quale venne trasposto il portale tardomedievale che in origine doveva trovarsi sulla facciata principale, sulla quale ne venne realizzato uno nuovo. La chiesa venne così dotata di due facciate e di due portali ottenendo un sicuro effetto scenografico. Ad accentuare questo effetto fu la costruzione, nel 1580, dell'imponente scalinata che collega la facciata laterale alla strada principale, via Vulpes, che conduce alla piazza. Tra il 1691 e il 1694 fu aggiunta sul lato sud la Cappella del Sacramento, detta anche "cappellone", con funzione di lucernaio. Nel corso del Seicento furono realizzate anche le coperture in legno delle navate laterali, poi decorate nel corso del secolo successivo, e delle navatelle, lasciate in nudo legno intagliato senza aggiunte decorative. Dalla posizione di rilievo in cui si trova, la chiesa sembra sorvegliare il paese ai suoi piedi attraverso le due imponenti facciate. Esse ricalcano il tipo abruzzese a terminazione orizzontale di origine tre-quattrocentesca, con terminazioni laterali rimarcate da lesene sporgenti in pietra in contrasto con il fondo ad intonaco. La facciata laterale, a nord, presenta uno schema a due ordini di aperture ricorrente in molte chiese pescolane, che vede al centro un portale tardomedievale sormontato da una finestra ad ovale e sui lati due ampie finestre rettangolari, di semplice fattura. Il portale deriva dai modelli delle principali chiesa aquilane della fine del Duecento. Esso è costituito da tre ordini di cornici semicircolari. A concludere la composizione è una cornice più grande, aggettante e decorata con rosette e girali di acanto. La facciata principale è più complessa. Essa ripete lo schema tripartito con portale e rosone al centro e finestroni rettangolari laterali, a carattere spiccatamente rinascimentale, ma in aggiunta presenta due finestre ovali di piccole dimensioni poste poco più in alto del rosone e simmetricamente ad esso. Il portale, datato 1558, è diviso in due ordini; quello in basso è costituito da due lesene scanalate con capitelli corinzi, quello in alto, di minore altezza, presenta due lesene che chiudono una lunetta con arco. Un'alta trabeazione in alto chiude e definisce il portale. La collegiata, in linea con la maggior parte delle chiese pescolane, ha una struttura a pianta longitudinale a cinque navate di matrice rinascimentale, su cui si innestano gli interventi barocchi dei secoli XVII e XVIII. Si tratta di operazioni a carattere prevalentemente decorativo più che costruttivo. Unica eccezione è l'aggiunta della cappella del SS. Sacramento. E' l'unica struttura barocca di grande originalità e si trova in corrispondenza della terza campata in prossimità del presbiterio. Posta in posizione frontale rispetto all'ingresso (quello della facciata laterale), ha la funzione di dare grandiosità allo spazio oltre che aumentarne la luminosità. Realizzata nell'ultimo decennio del Seicento presenta una pianta rettangolare con angoli smussati e copertura a cupola ovale che poggia su quattro archi in cui si aprono altrettanti finestroni. La cappella contiene tre altari, di cui uno in legno e due in marmo. Quello situato sulla parete di fondo, dedicato a Santa Maria del Colle, è in marmo ed è composto da un dossale realizzato tra il 1568 e il 1569 da maestri lombardi e da una mensa realizzata da maestranze pescolane, nel corso del Settecento. Il dossale inizialmente parte dell'altare maggiore della chiesa venne poi trasferito nella cappella in seguito alla traslazione da Roma nella chiesa di Pescocostanzo delle reliquie di San Felice. L'intero dossale è totalmente scolpito senza lasciare alcuna parte di superficie libera. Al centro è un bassorilievo raffigurante l'Assunzione della Vergine circondata da nuvole e putti alati. Incerto è l'autore dell'altare in marmo per il quale sono stati proposti i nomi di Panfilo Rainaldi e Nicodemo Mancini. Certi sono i termini cronologici che vanno dal 1751, inciso ai lati dell'altare, e 1754, sulla prima nicchia a sinistra. Cinquecentesco è anche l'altare del Rosario, in legno, che si trova a destra dell'ingresso. E' costituito da una base marmorea su cui si innesta un'edicola in legno contenente una grande pala raffigurante la Madonna del Rosario, realizzata nel 1580 dal pittore aquilano Paolo Cardone. Ampia è la decorazione a stucco che arricchisce l'intera cappella. Si tratta di figure di Profeti e di Virtù attribuite alla mano di due artisti lombardi: Gian Battista Giani e Francesco Ferradini, che collaborarono anche alla realizzazione dell'Assunzione sulla parete di fondo dell'abside. Coeva all'edificazione della cappella è la decorazione della volta ad opera di Francesco Antonio Borsillo da Larino e poi rimaneggiata nel 1721 da Giambattista Gamba. A proposito di questo intervento qualcuno ne parla in termini di restauro altri come di un vero e proprio rifacimento reso necessario dal terremoto del 1706 cosicché del lavoro originario non resta quasi nulla. Il tema trattato è La Gloria del Paradiso che viene svolto in piena aderenza alla conformazione architettonica della cupola. Strati di soffici nuvole su cui si adagiano schiere di figure e di santi si susseguono in un andamento a spirale che si restringe verso l'alto. Al centro è l'immagine del Cristo benedicente circondato da angeli che trasportano la croce. L'intento dell'autore era quello di dare allo spazio un'apertura verso il cielo, verso l'infinito, che non trova espressione nella realizzazione delle figure troppo definite in contorni netti che le radicano nel mondo terreno. A chiudere il cappellone è lo splendido cancello in ferro battuto progettato da Norberto Cicco, architetto e scultore pescolano, realizzato dal fabbro Santo di Rocco tra il 1699 e il 1705 e completato nel 1717 dal nipote Ilario di Rocco. Esso poggia, ai lati, su una balaustra in marmo di stile fanzaghiano e, nella parte centrale corrispondente all'ingresso, sul pavimento. Si compone di tre parti divise da fasce di legno dorato: la cancellata, il fregio e il fastigio. La parte bassa è costituita da trentatrè barre di ferro battuto a sezione quadrata con basi, capitelli ed elementi in bronzo. La parte inferiore delle due ante presenta un motivo di balaustrini che ricalca quello della balaustra laterale in marmo. Il fregio svolge una narrazione sul piano orizzontale. Al centro si trova, al di sotto di un tralcio, un putto disteso su un cuscino mentre abbraccia un cagnolino. Ai lati due scene simmetriche ed uguali con due figure mostruose dal busto umano che sorreggono due piccoli mostri marini. Dalle code di queste due figure si diramano tralci vegetali su cui si arrampicano dei putti che sembrano voler sfuggire all'agguato di due scimmie, anch'esse intrecciate nei girali. Il fastigio ha una composizione triangolare e simmetrica che parte dalle estremità con due anfore contenenti un tralcio fiorito. Si articola in quattro ordini. Il primo vede al centro la lotta tra due demoni antropomorfi dotati, a differenza di quelli del fregio, di arti inferiori e due leoni. Lateralmente si sviluppa un ampio motivo di girali fioriti. Il secondo ordine vede due angioletti scherzare con due figure femminili alate, fitomorfe nella parte inferiore del corpo, che possono essere identificate come due angiolesse. Al terzo ordine due angeli sostengono un ostensorio e con le braccia chiaramente invitano all'adorazione. Infine, in alto, trionfa l'ostensorio incoronato. L'idea che la rappresentazione vuole esprimere è la lotta tra il bene e il male e la conseguente vittoria sul male che, in termini strettamente cattolici, si può rendere nella lotta dell'uomo col peccato che viene vinto dalla forza del Sacramento. L'ostensorio rappresenta la Divinità, il bene, che riesce ad affermarsi sulle forze del male, demoni, mostri marini, fiere in continua contesa con le forze del bene, il bimbo, i putti, gli angeli. Un programma iconografico ricco e originale che va riferito alla fervida immaginazione di Norberto Cicco e alla realizzazione pratica di due maestri del ferro, Santo e Ilario di Rocco. Al primo va riferita quasi tutta la composizione, al secondo i due vasi fioriti ai lati del fastigio, l'ostensorio ed alcune figure di angeli. Tra il progetto e l'esecuzione c'è uno scarto nel senso di una semplificazione. Il materiale duro come il ferro non permetteva la realizzazione di linee morbide o curve presenti nell'ideazione del progettista, così la realizzazione si presenta più scarna e più vuota del progetto ma ugualmente efficace. La straordinarietà dell'opera ha dato luogo a racconti e leggende popolari che hanno tentato di giustificarne la realizzazione. Si narra che i fabbri utilizzassero una particolare erba della Maiella per rendere il ferro più morbido e malleabile per la lavorazione e che, non volendo rendere noto il loro segreto, non vollero mai discepoli o assistenti. Addirittura Ilario si faceva aiutare dalla moglie solo perché cieca. Abbiamo detto che la maggior parte degli interventi barocchi nella chiesa pescolana sono di tipo decorativo. Partendo dall'ingresso la prima opera settecentesca che incontriamo è il battistero. A sinistra della gradinata interna si apre un piccolo vano rettangolare coperto da una cupola ovale e chiuso da un cancello in ferro battuto. Questo fu realizzato probabilmente da Ilario di Rocco nel 1753 e si ispira ai caratteri rococò che gli conferiscono un tono elegante e raffinato. Al centro dello spazio interno spicca il fonte battesimale, un tempietto circolare in marmo, realizzato da Filippo Mannella intorno al 1753 con marmi di provenienza napoletana. La base, costituita da un tripode, regge un fonte circolare costituito da intarsi marmorei colorati e arricchito da putti alati tutt'intorno. Sulla sommità è posto un gruppo scultoreo in legno policromo raffigurante il Battesimo di Cristo. Ai lati della gradinata interna sono due acquasantiere di grande originalità e creatività realizzate nel 1621-22. Due sono gli elementi componenti: la vasca in marmo e l'aquila in bronzo. Da notare è l'accostamento di due materiali diversi e di due oggetti di natura diversa, un essere animato e naturale e un elemento inanimato e creato dalla mano dell'uomo. Sicuramente all'opera hanno partecipato due specialisti: l'artista-ideatore e l'esecutore. Dei due non abbiamo certezza circa l'identificazione. Un'analisi attenta dei caratteri permette di ipotizzare che l'artista fosse Cosimo Fanzago. A lui riconducono il naturalismo espressivo, l'originalità dell'idea e un'analogia con il pulpito degli Evangelisti nel duomo di Milano. Ulteriore conferma di quest'ipotesi è data dalla presenza di questo motivo in area napoletana, dove è presente in fontane, lavabi, altari e nelle acquasantiere del San Ferdinando. Il motivo dell'aquila portante ha avuto particolare fortuna nell'Italia meridionale; esso torna nella certosa di Padula, nella cattedrale di Monopoli e nella reggia di Caserta. Dall'ingresso è immediatamente visibile il pulpito addossato ad uno dei pilastri della navata centrale. Fu realizzato probabilmente nei primi del '600 ad opera di Bartolomeo Balcone, romano di nascita ma vissuto a Sulmona, dove ha realizzato il coro della SS. Annunziata. In legno di noce, è composto da pannelli intagliati e decorati a motivi vegetali ed antropomorfi, delimitati da lesene a carattere ionico. In basso, quasi a sostegno dell'intera struttura, è un putto alato che sostiene varie cornici lavorate. A copertura del pulpito è un baldacchino posto più in alto, che ne ricalca la forma. Esso presenta, in linea con tutte le coperture della chiesa, un motivo a lacunari. Sulla sommità, in posizione dominante, è la figura di una Madonna. L'effetto dorato con cui si presenta oggi il pulpito è il risultato di interventi successivi. Affini al pulpito sono due altre opere barocche, il badalone e la cantoria. Il badalone, posto al centro del coro, è un leggio di grande importanza. Composto da un parallelepipedo di legno liscio con angoli smussati, presenta un fregio decorato a intaglio e figure di telamoni e cariatidi sugli spigoli. Analogie stilistiche e compositive portano ad attribuire questo pezzo alla mano dello stesso Bartolomeo Balcone o al massimo ad un autore locale influenzato dal maestro. La cantoria, di notevole dimesione, occupa tutta la parete di controfacciata della navata centrale. Come attesta la data riportata nella parte centrale in basso la sua realizzazione risale al 1612. Una struttura lignea intagliata, dorata e colorata contiene un organo costituito da dodici registri articolati in tre torri, di cui quelle laterali più basse, quella centrale più alta si eleva fino al soffitto. I fornici laterali sono delimitati da semicolonne decorate e scanalate e chiusi in alto da trabeazioni riccamente lavorate a girali Il fornice centrale è contenuto da una struttura lignea affiancata da volute laterali e culminante in un timpano circolare spezzato a causa della mancanza di spazio. Anche gli spazi vuoti intorno alle canne sono stati abilmente riempiti con motivi vegetali intagliati nel legno. La balconata dell'organo presenta forti affinità stilistiche con il pulpito e con il badalone tanto da attribuire l'intera opera allo stesso autore, Bartolomeo Balcone. Essa risulta divisa in sei pannelli simmetrici e in una mostra di legno, al centro, che ripropone un organo in miniatura scolpito nel legno. I pannelli, separati da figure di telamoni e cariatidi che sostengono un fregio con motivi vegetali, sono decorati all'interno da figure antropomorfe da cui partono tralci . I motivi sono gli stessi del pulpito e del badalone ma diverso è il modo in cui sono trattati. Alla rigidità e compostezza del pulpito si contrappone uno stile più libero ed una composizione più ricca anche grazie all'uso di perline, dentelli e ovuli. Queste osservazioni inducono ad ipotizzare che la realizzazione della cantoria sia successiva e legata alla maturità dell'artista. I soffitti sono una delle caratteristiche principali della chiesa, distinti in tre tipologie. Il più ricco e scenografico è certamente quello della navata centrale realizzato tra il 1670 e il 1682; il progetto e la direzione dei lavori appartiene a Carlo Sabatini; le dorature sono attribuite ai fratelli Gioacchino e Giuseppe Petti da Oratino; gli oli appartengono a Giovannangelo Bucci. L'architetto Carlo Sabatini mostra chiaramente le influenze dell' ambiente napoletano, dove avvenne la sua formazione, e di quello romano. Si tratta di una complessa struttura in legno intagliato, laccato e dorato suddivisa in lacunari, scomparti rientranti. Questi, nel numero di ottantacinque, hanno forme diverse, tonda, rettangolare o mistilinea, e sono stati concepiti come contenitori di tele dipinte ad opera di Giovannangelo Bucci. Ricche sono le cornici che chiudono questi spazi, lavorate a ovuli e foglie. Emergono dall'insieme otto grandi cassettoni mistilinei disposti trasversalmente in quattro coppie che rompono la successione dei riquadri rettangolari. I cassettoni sono molto profondi e questo crea l'impressione che i dipinti sprofondino al loro interno. Non è casuale la scelta del colore di fondo, il celeste, che allude all'apertura del soffitto verso il cielo, verso una dimensione sovrumana abitata da angeli. Tra gli altri colori prevalente è il rosso. I dipinti rappresentano angeli gioiosi nell'atto di cantare, suonare o spargere fiori. L'intero soffitto sembra voler rappresentare il Paradiso. Il carattere barocco dell'illusorietà dello spazio si fonde al gusto classico e agli effetti scenografici della tradizione tardo-manieristica. Unico precedente è dato dal soffitto della cappella del Rosario nella chiesa di San Domenico a Penne, realizzato circa trent'anni prima. Se il soffitto pescolano non rappresenta una novità, è certo che mette a punto una tipologia che troverà ampia applicazione nel Settecento, come nel caso della chiesa di San Bernardino a L'Aquila. I soffitti delle navate laterali adiacenti a quello centrale furono iniziati negli stessi anni ma portati a termine solo nel 1742. L'attribuzione del progetto spetta allo stesso Carlo Sabatini con qualche riserva per quanto riguarda quello di destra. Presentano la stessa impostazione architettonica e compositiva di quello centrale: una successione ordinata di lacunari delimitati da cornici dorate che racchiudono dipinti su tavola a motivi vegetali e zoomorfi. Anche il fondale esterno agli scomparti presenta gli stessi motivi floreali. A spezzare questa omogeneità sono quattro grandi pannelli rettangolari, disposti nel senso della lunghezza, che ospitano tele dipinte ad olio, raffiguranti scene bibliche. A separare i vari scomparti sono inserite delle piccole rosette dorate. Nel complesso questi due soffitti si presentano più sobri di quello centrale e questo testimonia sia le difficoltà economiche sia i cambiamenti di gusto intervenuti nel tempo. I soffitti delle navate estreme presentano differenze evidenti che fanno supporre che siano stati realizzati in epoche diverse. Dalle fonti risulta che in parte già esistevano nel 1697. Quello di sinistra, nell'insieme piuttosto omogeneo, si avvicina ai caratteri del soffitto della navata centrale e per questo viene assegnato alla scuola del Sabatini. In quello di destra si distinguono due fasi di lavoro; la parte nella zona dell'abside è vicina stilisticamente, nell'organizzazione dei lacunari e delle cornici, al soffitto della navata centrale e perciò viene datata alla fine del Seicento; l'altra è articolata in ampi scomparti lignei privi di decorazione e di tele ed attribuita solo di recente ad un altro componente della famiglia Sabatini, un certo Remigio, che lo realizzò nel 1718. Entrambi i soffitti presentano scomparti in legno al naturale, per i quali dovevano essere previste dorature e laccature mai realizzate o anche tele mai dipinte. Una cupola ottagonale definisce la composizione che risulta formata da affreschi attribuiti alla mano di Giambattista Gamba, lo stesso autore degli affreschi della cappella del SS. Sacramento. I dipinti che coprono la volta sono disposti all'interno di spazi di varia forma, tondi, ovali o mistilinei e rappresentano Episodi di vita della Vergine. Al centro, in uno spazio che ricalca nella forma quello ottagonale della cupola, è rappresentata l'Ascesa della Vergine al cielo tra schiere di angeli. Le figure presentano una maggiore morbidezza e vivacità di quelle della cappella, l'intera composizione risulta più equilibrata e leggera. La parete di fondo dell'abside è decorata nella parte alta da un altorilievo a stucco raffigurante l'Assunzione, realizzato dagli artisti lombardi Gian Battista Giani e Francesco Ferradini, autori anche degli stucchi del cappellone. Gli altari Barocchi sono anche i molti altari distribuiti su tutta la chiesa, realizzati tra il XVI e il XVII secolo. Lungo la navata di destra sono l'altare della Madonna di Loreto, quello di San Paolo, quello di Sant'Anna e quello della Madonna di Pompei, tutti realizzati da maestri pescolani nel corso del Settecento. L'elemento più caratteristico di questi altari è il paliotto che racchiude in sé gran parte della loro ricchezza. Nell'altare di S. Paolo il paliotto originario è stato sostituito da un'arca marmorea. Particolarmente raffinato è il paliotto dell'altare di Sant'Anna. Su uno sfondo scuro si delineano motivi prevalentemente vegetali di colore molto chiaro in netto contrasto col fondo. Il paliotto dell'ex altare della Madonna di Pompei fu realizzato da Panfilo Rainaldi nel 1717 e sembra avere come modello l'opera di Norberto Cicco, in particolare l'altare di S. Antonio nella chiesa di Gesù e Maria. Su un fondo scuro dei girali arricchiti da perline si intrecciano tra loro, nelle parti laterali. Al centro una cornice a stucco racchiude un disegno geometrico. L'altare della Madonna del Colle si trova nel capo della navata laterale destra adiacente a quella centrale. Appartiene ai secoli XVI e XVII. Il paliotto in marmo commesso è settecentesco ed attribuito a Panfilo Rainaldi. Il dossale è seicentesco ed è opera di Palmerio Grasso. E' un imponente struttura in legno intagliato e dorato in cui è possibile distinguere due parti. La zona inferiore, che spicca per la maggiore doratura, forma nella parte centrale un'edicola avanzata chiusa da un timpano curvo e spezzato. All'interno dell'edicola è una nicchia rettangolare destinata ad ospitare la statua della Madonna del Colle (vd. sezione Scultura lignea, prov. AQ), ai lati due nicchie, poste più in basso, che hanno forma a catino. La parte superiore presenta un'edicola con timpano triangolare e viene raccordata all'altra mediante due enormi volute laterali. L'altare maggiore, dedicato a San Felice, fu realizzato da Giuseppe Cicco nel 1668. Il paliotto, in marmo, presenta decorazioni vegetali disposte simmetricamente intorno ad un'apertura centrale (fenestella confessionis), in cui sono custodite le reliquie del santo, delimitata da una cornice di cherubini. La parte superiore dell'altare è costituita da un capoaltare, piuttosto basso, definito in alto da una cornice e sui lati da due teste di cherubini. In questo altare torna il motivo tipicamente fanzaghiano dei cherubini, particolarmente sviluppato nella chiesa di Gesù e Maria. A sinistra dell'altare maggiore è quello della Trinità, di cui va ricordato il paliotto che, nel disegno, ricorda sia quello dell'altare di S. Anna nella chiesa di Gesù e Maria sia quello del cancello del cappellone. Nella navata destra, a sinistra della cappella del Sacramento, è l'altare del Crocifisso, voluto dalla comunità e realizzato da Panfilo Rainaldi tra il 1738 e il 1739. Si tratta di una struttura complessa e composita che nella parte inferiore risente degli influssi del Barocco romano, e nella parte superiore di influenze napoletane. Al centro è un grande Crocifisso, di cui parleremo più avanti, posto all'interno di uno spazio concavo in contrasto con il quale sono le parti laterali convesse che ospitano edicole e nicchie contenenti le statue di San Biagio e Santa Barbara. Questo gioco di alternanza tra concavità e convessità ha il suo riferimento nello stile borrominiano. Sulla controfacciata della navata destra è l'altare di Santa Caterina che ospita un importante dipinto dedicato alla Santa, realizzato da Tanzio da Varallo, di cui parleremo in seguito. Sulla controfacciata sono altri due altari, quello di Santa Rita e di San Pietro. Quest'ultimo va ricordato perché riferibile alla produzione locale e databile all'inizio del Seicento; è quindi precedente alle influenze di carattere nazionale che si riscontrano in altari successivi e più elaborati, mentre risente del linguaggio manierista locale. Presenta una struttura articolata in due parti, inferiore e superiore. Quella in basso risulta divisa, nel senso dell'altezza, in tre parti delimitate da quattro colonne corinzie poggianti su un alto basamento; al centro è una nicchia grande che ospita la statua di San Pietro, ai lati sono quattro nicchie disposte su due piani contenenti immagini di Santi. La parte alta dell'altare è composta da tre edicole separate, di cui quella centrale, più grande delle altre, risulta in secondo piano rispetto alle due laterali. Quasi identiche tra loro, esse sono chiuse in alto da timpani curvilinei e contengono all'interno dipinti. La tela di Tanzio da Varallo è l'opera pittorica più importante della chiesa e ricopre la pala dell'altare di Santa Caterina. La tela viene oggi con certezza attribuita a Tanzio da Varallo, un pittore lombardo attivo a Roma e a Napoli, che si trovò ad operare in Abruzzo intorno al 1614. La sua permanenza in territorio abruzzese è supportata da un'altra sua opera presente a Fara San Martino, la Circoncisione, e dalla presenza a Pescocostanzo, nello stesso periodo, di molti artisti lombardi, attivi per lo più nella collegiata. La tela descrive un fatto realmente accaduto, un incendio di un edificio pescolano. Al centro del quadro è raffigurato un piccolo angelo che versa acqua sulle fiamme. Intorno sono rappresentati tre Santi e ai loro piedi è ritratta la committente, probabilmente Pompa de Mattheis, moglie del barone Tommaso D'Amata. In alto è la Madonna col Bambino tra angeli musicanti. Si suppone che durante l'incendio sia intervenuto un miracoloso temporale a salvare la struttura in fiamme e per devozione e ringraziamento sia stato commissionato il dipinto. Sull'edificio in questione non si hanno certezze; potrebbe trattarsi del convento francescano di Gesù e Maria che era in costruzione proprio in quegli anni e che si trovava sotto il patronato della famiglia D'Amata. A supporto di questa ipotesi è la presenza di tre Santi appartenenti all'ordine francescano, S. Bernardino da Siena, S. Francesco e Santa Chiara ai quali si affianca Santa Margherita di Antiochia, cui era molto devota la committente. La struttura rappresentata, apparentemente in rovina, è in realtà un edificio in costruzione che presenta caratteri, quali il portico, diversi da quelli dell'attuale chiesa di Gesù e Maria. L'intera rappresentazione è improntata ad un forte realismo che si manifesta nelle vesti dei Santi che sono abiti semplici e popolani oltre che nelle espressioni dei volti segnati dal dolore e dalla sofferenza e rapiti dall'immagine della Madonna. Significativo è il volto della committente, rugoso, segnato dal tempo e dalla durezza dei luoghi, asciutto e indurito come la corteccia di un albero. L'analisi stilistica dell'opera mostra la forte influenza esercitata sul pittore dal Caravaggio al quale egli rimase legato nella prima fase della sua produzione che precede le opere della maturità. A Pescocostanzo, in contrasto con il resto della regione, la scultura ha una stagione felice anche in epoca barocca grazie a diversi fattori quali il benessere economico, il profondo sentimento religioso e la presenza delle maestranze lombarde. Al Seicento vanno ascritte le statue lignee policrome dei Santi Pietro e Paolo, poste ai lati dell'altare principale della cappella del Santissimo e quelle delle Sante Margherita ed Apollonia, poste nelle nicchie laterali dell'altare della Madonna del Colle. In questi quattro esemplari è evidente la fluidità dei movimenti, sottolineata dalla accentuata gestualità, dai ricchi panneggi e da una comune prominenza del ginocchio. Una raffinata e dosata decorazione accompagna il movimento e la scioltezza delle figure senza appesantirle. Al Settecento appartiene la scultura del Cristo Crocifisso, datata precisamente al 1711 e realizzata da un artista anonimo. Il corpo del Cristo è completamente coperto da vene, nervi e rivoli di sangue che stanno a sottolineare e ad amplificare il dolore e la sofferenza che accompagnano l'agonia. L'opera appartiene a quel filone realistico che nell'intento di rappresentare autenticamente la realtà finisce per esasperala. Dello stesso secolo sono le due statue laterali dell'altare del Crocifisso raffiguranti Santa Barbara e San Biagio, realizzate dall'artista pescolano Pietro Paolo Palmeri rispettivamente nel 1756 e nel 1766. Espressione di una tradizione locale ricca e sensibile alle influenze esterne, queste due opere chiudono il ciclo della statuaria barocca a Pescocostanzo. La ricchezza della chiesa di Santa Maria del Colle, vero scrigno di tesori artistici, è insolita in un piccolo centro montano e causa di meraviglia e stupore nel visitatore occasionale e digiuno di storia locale. La spiegazione si trova nella sua storia politica ed economica oltre che nella favorevole collocazione ai margini della via degli Abruzzi, principale canale di comunicazione tra nord e sud d'Italia. Il benessere economico diffuso, legato all'industria armentizia, e la vicinanza della importante via hanno favorito l'arrivo e la permanenza di maestranze artistiche che hanno importato tecniche e arti altrimenti sconosciute. La recettività e l'abilità dei pescolani, oltre che la loro caparbietà, hanno poi favorito lo sviluppo di nuove attività di carattere artistico-artigianale, quali la lavorazione della pietra, del legno, del ferro dando vita ai numerosi capolavori presenti soprattutto all'interno della chiesa principale.

Iscrizioni:  Su una delle capriate della navata centrale: IACOBUS ATINO VICARIUS ANNO DOMINI 1466 HOC OPUS FIERI FECIT. NICOLAUS CHIUS. DOMNUS AMICUS PRAEPOSITUS Su una trave del soffitto: RENOVATA. ET. ALTIUS. ELEVATA A.D. MDCVI Sul parapetto del corrimano: 1580 A

Informazioni:  Basilica Santa Maria del Colle tel. 0864-641430 Municipio tel. 0864-640003

Stato di agibilità:  Agibile

Via Diomede Falconio, 1
The collegiate church of Santa Maria del Colle (on the hill), whose main faade overlooks the valley lying below, towers over the town of Pescocostanzo. Its foundation dates back to the Middle Ages, but its structure was adjusted and altered in the course of the XVI and XVII century.
Its plan is divided in a nave and four aisles by round arches surmounted by high wooden ceilings. It is one of the rare examples of churches with more than three naves in the Abruzzi. The church extends in width, so as to alter the proportion between length and width. Such disproportion is due to the slope over which the church rises. For the same reason it was necessary to open a lateral entrance door on the side where it was possible to build a staircase.
This entrance door, at the top of the stairs, has a magnificent late-Romanic splayed portal, surmounted by a rose-window; the main faade, in sixteenth-century style, opens on to a terrace.
Inside the church exhibits works by the most renowned local wood-carvers, engravers and stucco-workers, among which there are the Chapel of Holy Sacrament, with a Baroque baptismal font and a wrought iron gate, and the stuccoes by Giambattista Gianni.
The collegiate is also the seat of the Museum of the Basilica, which contains gold ware, statues and sacred arrays from the church.

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