Aufinum
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L'abitato protostorico di Capestrano è situato a 298 metri sul livello del mare. Qui si registrano i più antichi dati di uso del territorio (età neolitica). Sotto il villaggio moderno, presso le sorgenti del Tirino, è stata scoperta, nel 1934, e scavata di recente, una vastissima necropoli arcaica, la più famosa del territorio vestino, pertinente ad un vicino abitato, la quale prolunga la sua vita fino all'età imperiale. Da qui proviene il celebre Guerriero di Capestrano trovato insieme al busto di una statua femminile, oggi conservati presso il Museo Archeologico Nazionale d'Abruzzo (Chieti). I dati conosciuti, inerenti l'area di Capestrano o meglio della Conca di Ofena (intendendo per questa l'area compresa tra Capestrano - Capodacqua - Ofena), illustrano la sua importanza storico-archeologica. La zona risulta di eccezionale interesse non solo per la quantità e la qualità di materiali rinvenuti nel passato, ma soprattutto per la più che notevole continuità di vita che essa presenta. Si può affermare che nell'area si registra una presenza continua di insediamenti dal neolitico almeno fino al periodo tardoantico, una realtà raramente documentabile altrove. Occorre comunque ribadire che a fronte di una tale interessante evidenza fornita dai materiali archeologici si contrappone uno stato di conoscenze sul terreno piuttosto limitato e, per quanto riguarda la parte italico-romana, decisamente confuso. Infatti, se per il periodo preistorico è accertata la presenza di insediamenti presso l'odierna frazione di Capodacqua, prima di questo studio rimaneva problematica la definizione del territorio nelle età immediatamente precedenti e in epoca romana. Un filone di studi posiziona il polo di maggiore consistenza insediativa presso l'attuale Ofena (l'antica Aufinum), o addirittura porta ad immaginare situazioni oggettivamente improponibili come una città territorio dislocata con nuclei sparsi su tutta l'area. In effetti i rinvenimenti finora documentati nell'attuale Ofena si limitano soltanto ad alcune epigrafi reimpiegate e ad alcune strutture situate alla periferia del paese moderno, rivolte verso la pianura, così ben circoscritte da far pensare ad un nucleo isolato (tempio o villa?). Le indagini effettuate sembrano invece confermare una presenza cospicua e quasi netta nell'area circostante q. 397, ultima e ben isolata propaggine di Collelungo. In particolare le aree presentano una concentrazione di materiali che va ben al di là di presenze sporadiche e occasionali ed è senza dubbio riferibile ad un centro abitato di notevole consistenza. All'interno di questa area si è identificata l'unica presenza monumentale attualmente leggibile, riconducibile ad un edificio teatrale e forse le tracce di terrazzamenti in opera poligonale, largamente rimaneggiati da moderne "macerine". Del resto a monte del teatro si segnalavano in passato tracce di un abitato antico, la cui esistenza sembra confermata dal recente rinvenimento di materiale fittile. Si nota una concentrazione di rinvenimenti dei tituli funerari nella contrada "il Lago", subito ad est dell'abitato e la localizzazione di tombe che vanno dal VI sec. a.C. all'età imperiale subito ad ovest. Al di là delle problematiche relative alla necropoli di età romana, essa va comunque riferita ad un unico centro di notevole entità, da identificare con l'antica Aufinum. Inoltre la presenza di deposizioni molto più antiche nello stesso sito della necropoli romana ad ovest dell'abitato induce a ritenere che il vicus italico vada localizzato in coincidenza dell'Aufinum romana. I dati della ricognizione uniti a quelli bibliografici sembrano indicare tre fasi archeologiche: il VI-V sec. a.C., documentato dalla ricca necropoli del Guerriero di Capestrano; il IV-III sec. a.C., attestato dalle tombe con ceramica a vernice nera (materiale rinvenuto anche all'interno dell'abitato), e il periodo che va dal I sec. a.C. a tutta l'età imperiale, testimoniato dal materiale epigrafico (fino al II sec. d.C.) e da quello ceramico con la presenza di materiale di importazione, evidente indice di vitalità del centro, forse collegabile con la municipalizzazione. In questo contesto va posto il dato relativo al tesoretto monetale di vittoriani romani di fine II sec. a.C. Il Guerriero di Capestrano è venuto casualmente alla luce nell'estate del 1934 al di sotto di un vigneto, vicino alla superstrada del Tirino, a valle del paese da cui prende il nome. Nella campagna di scavo, condotta tra il settembre e il dicembre dello stesso anno, vennero alla luce l'elmo, oggi mancante, il noto "Torsetto muliebre" rinvenuto sotto l'elmo ed una trentina di tombe, delle quali alcune ad incinerazione ed altre ad inumazione, databili le più antiche al V-IV sec. a.C., età del ferro. La statua fu scolpita dallo scultore Aninis. Il personaggio raffigurato,Nevio Pompuledio è un uomo armato di spada, coltello, coppia di lance e disco-corazza, riferibile al VI sec. a.C. L'iscrizione sul pilastro della statua ci racconta come Nevio Pompuledio fosse uno degli ultimi re che governavano i popoli dell'Abruzzo. Infatti agli inizi del V sec. a.C. il sistema monarchico e viene sostituito dal regime repubblicano con cariche elettive. Forse in conseguenza di ciò e alla promulgazione di leggi suntuarie contro l'eccessivo lusso nelle sepolture, non si rinvengono corredi funebri per il periodo compreso tra la metà del V sec. a.C. e la metà del IV sec. a.C. La scultura è stata ricavata da un unico blocco di pietra ed è alta cm. 253 con la base, 209 senza di questa e 171 senza l'elmo. Come si nota, sono gli 82 cm. aggiunti in altezza e l'ampiezza delle spalle, cm. 135, a conferire un'imponenza fuori del comune ad un'opera realistica e fantastica nello stesso tempo, così lontana da ogni riduttiva interpretazione estetica. Il copricapo, dall'incredibile ampiezza, è una calotta emisferica con una cresta innestata che genera una coda. Non si è molto d'accordo sui lineamenti del volto, stilizzati per alcuni, vera maschera protettiva o funeraria per altri. La fascetta costolata che gira intorno al collo, riassume sia una funzione ornamentale che una più propriamente protettiva. Ma il guerriero affida tutte le principali possibilità difensive del suo corpo ad una coppia di dischi, Kardiophilakes, posti, davanti e di dietro, all'altezza del cuore. L'addome è preservato da una "mitria" costituita da una piastra sagomata. Un geometrico sistema di fasce e cinghie sorregge il tutto. La vita è circondata da un'ampia cintura divisa in cinque strisce. Le armi sono costituite da: una lunga spada con impugnatura decorata da figure umane scolpite disposte in duplice ordine, con l'elsa a crociera e una guaina con la figura di una coppia di quadrupedi; un coltello sovrapposto alla spada; un'ascia che, a causa del suo manico assai lungo, fa pensare ad uno scettro. Le tibie dovevano essere protette da schinieri, mentre i piedi da calzari e da corregge poste al di sotto dei malleoli. L'iscrizione dedicatoria disposta verticalmente su una sola riga, da leggere dal basso verso l'alto, ha generato dispute su dispute,appianate recentemente da alcune epigrafi ritrovate a Penna Sant'Andrea. Circa l'alfabeto usato, dovrebbe trattarsi di quello in voga presso le tribù sabelliche, il quale da Cuma sarebbe poi stato diffuso nella penisola, concretizzandosi quindi nelle tre varianti di alfabeto piceno (al settentrione), pretuzio (al centro) aternese ( ad occidente e a meridione). Il dialetto, poi, è vicinissimo a quello umbro-osco.