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Gabriele D'Annunzio

Narratore, drammaturgo e poeta

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GABRIELE D'ANNUNZIO

(1863-1963)

Narratore, drammaturgo e poeta Gabriele d’Annunzio, “Vate” del Decadentismo italiano, nacque in una modesta famiglia di Pescara il 12 marzo 1863; i genitori, Francesco Paolo Rapagnetta e Luisa De Benedictis (originaria di Ortona), vivevano di rendita grazie al ricco lascito di Antonio d’Annunzio, facoltoso possidente, zio e poi padre adottivo dello scrittore, che ne assunse il cognome ancora bambino.

Si distinse per l’accanimento nello studio, unito ad una forte smania di primeggiare, che e lo portò a saltare il quinto ginnasio per passare in anticipo al primo liceo (1878), dove esordì come poeta con  l’ode al re Umberto I (All’augusto Sovrano d’Italia Umberto I di Savoia, 1879).

Nel dicembre dello stesso anno, ancora sedicenne, pubblicò presso la tipografia Ricci di Chieti, a spese del padre, la sua prima raccolta di liriche intitolata Primo Vere, nata da impressioni di lettura delle Odi Barbare di Carducci.

Preceduto da una certa notorietà negli ambienti culturali e aristocratici della capitale, vi si immerse con entusiasmo, spinto soprattutto dal suo gusto per l’esibizione della bellezza e del lusso; per esigenze di natura economica si adattò al lavoro giornalistico e, grazie all’amicizia con Edoardo Scarfoglio e Cesare Pascarella, iniziò a collaborare, anche con poesie e novelle, a varie testate (dal “Fanfulla della Domenica” al “Capitan Fracassa”, dalla “Cronaca bizantina” a “La Tribuna”), trascurando pertanto gli studi universitari, che non portò mai a termine.

D'Annunzio inventò uno stile di vita spettacoloso e appariscente, da “grande divo”, con cui nutrì il bisogno fondamentale di “vivere un’altra vita”, che stava connotando in Italia la nuova cultura diffusa tra i borghesi, ma anche e soprattutto tra le classi meno abbienti. Infatti, a Roma, dove visse in una soffitta di via Borgognona, d’Annunzio condusse una vita brillante e movimentata, ricca di amori, avventure mondane e perfino duelli.

Nel 1895, mentre i suoi testi cominciavano a circolare anche fuori d’Italia (in Francia fu tradotto L’innocente), vide la luce un nuovo racconto, Le Vergini delle rocce, unico romanzo della progettata trilogia “del Giglio”; in esso fanno la loro prima comparsa le teorie superomistiche, sulla scorta del pensiero del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche, i cui scritti d’Annunzio aveva “approcciato” mentre era a Napoli, peraltro fraintendendoli parzialmente. Il pensiero di Nietzsche dominerà, in funzione fondamentalmente estetica, tutta la produzione successiva del Vate e la libererà da certi residui moralistici ed etici.



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