Eremo di Santo Spirito a Majella
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Come arrivare
Il cenobio rupestre di Santo Spirito è sicuramente il più grande e famoso di tutta la Majella, e anche se nel corso dei secoli ha subito diverse trasformazioni, mantiene ancora il fascino dovuto alla stupenda posizione nella valle omonima. La badia sorge nella parte alta della valle di Santo Spirito a circa un'ora di cammino dai prati della Majelletta ed è raggiungibile, attraverso un ripido percorso, dal paese di Roccamorice. Non esiste una data precisa della sua origine, anche se si suppone sia anteriore all'anno Mille. La prima presenza nota è quella di Desiderio, il futuro papa Vittore III, che vi dimorò, insieme ad altri eremiti, nel 1053 e vi costruì una chiesetta. In seguito, nel 1246, fu dimora di Pietro da Morrone, futuro papa Celestino V, che, trovandola in pessime condizioni, iniziò i lavori di ristrutturazione. Si data in quell'anno la costruzione dell'oratorio e di una piccola celletta. Il passare del tempo e l'incremento della comunità costrinsero a realizzare un secondo oratorio ed altre cellette. L'impianto costruttivo utilizzato richiama l'edilizia camaldolese, un riferimento che l'eremita avrà presente anche per la costruzione di più grandi monasteri. Una lettera datata 1 giugno 1263 riporta che papa Urbano IV da Orvieto incaricò il vescovo di Chieti, Nicola di Fossa, di adoperarsi affinché i monaci dell'eremo di Santo Spirito fossero incorporati nell'Ordine di San Benedetto, come lo stesso Pietro aveva richiesto. Nel 1278 il vescovo Nicola concesse l'autonomia all'eremo che, con il titolo aggiuntivo di monastero, rimase a capo dell'Ordine fino al 1293. Nel Trecento la storia del monastero ricorda la presenza di illustri personaggi: il beato Roberto di Salle, priore dal 1310 al 1317, ed il rivoluzionario Cola di Rienzo, che nel 1347 vi trascorse alcuni mesi. L'eremo è citato anche nel De vita solitaria del Petrarca, dove è descritto come luogo solitario, adatto all'ascesi spirituale. I secoli successivi, a causa delle difficoltà economiche e climatiche, fecero da scenario al suo lento declino. Solamente nel 1586, grazie al monaco Pietro Santucci da Manfredonia, la vita religiosa dell'eremo riprese vigore: l'eremo ottenne il titolo di Badia e venne costruita la Scala Santa che conduce all'oratorio di Santa Maria Maddalena. Il Santucci fu anche fautore della traslazione, avvenuta l'11 aprile 1591, delle ossa di San Stefano detto Lupo dal monastero di Vallebona presso Manoppello a S. Spirito. Sul finire del XVII secolo il principe Caracciolo di San Buono fece costruire un edificio a tre piani e la foresteria. Nel 1807, a causa della soppressione delle comunità monastiche, il monastero venne di nuovo abbandonato, spogliato dei beni e dato in preda alle fiamme. Nel corso del XIX secolo si è cercato più volte di recuperare il complesso ma sempre con scarsi risultati, e solamente per opera di alcuni fedeli di Roccamorice, negli ultimi anni dell'800, fu restaurata la chiesa. Numerosissime sono le leggende legate a questo luogo di culto ed in particolare alla figura di Pietro da Morrone: storie di diavoli, di profanazioni sacrileghe e di esemplari punizioni. Un tempo numerose compagnie di pellegrini giungevano alla badia risalendo la valle o valicando la montagna; oggi solo in occasione dell'apertura della Perdonanza, il 29 agosto, si può notare una discreta partecipazione dei devoti. Allo stato attuale, dell'eremo si conservano la chiesa, la sagrestia ed un'ala abitativa distribuita su due piani, composta dalla foresteria e dalle cellette. La chiesa, descritta accuratamente dal Zecca nell'Ottocento, presentava con molta probabilità un portico composto da due archi di ordine toscano semplice. L'ingresso, restaurato dal Santucci alla fine del '500, reca l'iscrizione "Ecclesia haec S. Spiritui ab Angelis consecrata, Aegris Medicina est, et Christi Fidelibus Dimittit Peccata Omnia" ed al centro "Porta Coeli". Il bel portale in legno, la statua di San Michele Arcangelo e il tabernacolo sono opera di Giuseppe Di Bartolomeo di Roccamorice che vi lavorò in occasione della riapertura al culto della chiesa nel 1894. All'interno della chiesa il presbiterio, la parte più antica, mostra archi a sesto acuto evidenziati da costoloni; due porticine poste a lato dell'altare portano al coro. Delle due lapidi nominate dallo Zecca, poste sulla parete di sinistra, non rimane che il frammento riguardante la dedicazione; l'iscrizione perduta, invece, ricordava l'indulgenza plenaria concessa da papa Benedetto XIV nel 1742. Con la soppressione del monastero alcune opere pregiate vennero trasferite nella chiesa del paese e solo di recente sono state ricollocate al romitorio. Tra queste opere ricordiamo le tele raffiguranti la Madonna ed la Discesa dello Spirito Santo nel Cenacolo, una statua lignea di Cristo, che inizialmente doveva essere custodita nella celletta sottostante la chiesa, il busto di papa Celestino V e due tele ottocentesche raffiguranti San Giuseppe e Sant'Elena. Nella parte bassa della chiesa, completamente scavato nel banco roccioso, troviamo il nucleo originario dell'eremo celestino. Esso presenta due ingressi. Il primo conduce ad un piccolo ambiente con altare, noto come stanza del Crocifisso, dove ancora oggi sono visibili tracce di affreschi. Alcuni gradini sulla destra conducono in un'altra piccola stanza, forse il giaciglio di Pietro da Morrone, che è in comunicazione con l'ossario tramite un'apertura murata. Alcuni stretti gradini posti accanto all'ingresso conducono alla sagrestia. Un secondo ingresso introduce in due stanze comunicanti fra loro, riservate alla sepoltura dei principi Caracciolo di San Buono. Gli ambienti che seguono sono più direttamente legati alle esigenze abitative della comunità; un primo blocco è composto da alcune stanzette di servizio al piano terra e da camere al piano superiore. Un secondo settore è formato da sei grossi locali che proseguono in linea con i precedenti e dei quali rimangono per lo più rovine. Una descrizione del convento del 1650 rende bene l'articolato susseguirsi dei vari ambienti e delle loro svariate destinazioni: "È di figura longo, non molto largo, senza chiostri per non essere il sito capace ha però avanti la chiesa un piano che serve per piazza e una fonte; e da dietro altri piani che servono per cortili e di sotto molti orticelli. Oltre la chiesa, Coro, Capitolo e Sagrestia nel primo piano ha tutte le officine necessarie, cioè Cellaro, Refettorio, Panetteria, Forno, Dispense, Cucina, Legnera e Stalla. Nel secondo piano sopra alle officine ha una saletta ed il Scalfatorio, un dormitorio per i monaci di otto camere e sopra a queste altre sei camere per i conversi. Ha di più una Scala, Saletta e stanze per Foresteria". Il terzo edificio, la foresteria, si sviluppa su tre piani e nonostante i danni che anche le sue strutture hanno subìto (i solai sono crollati), mostra ancora una maestosa mole. Si raggiunge attraverso un corridoio ricavato nella roccia che, lungo la parete, presenta una grossa nicchia nel cui interno sono state ricavate tre piccole nicchie. Accanto all'ingresso della foresteria ha inizio la Scala Santa, formata da 31 gradini, che termina fra i ruderi di altri edifici. Vi era anche una cisterna dove confluivano, tramite un eccellente impianto idrico, le acque piovane. Un'altra scala, anch'essa scavata nella roccia, presenta 76 gradini abbastanza uniformi nelle dimensioni, ed è formata da due tratti rettilinei raccordati da una leggera curva e dalla copertura non uniforme. Lungo le pareti rocciose è incisa una Via Crucis. La scala termina al centro di una balconata di notevoli dimensioni, circa 180 metri, interamente coperta. Due brevi scale poste a destra conducono al complesso della Maddalena, un piccolo oratorio ricavato nello sperone interno alla balconata che conserva sopra il portale d'ingresso un rilievo con la raffigurazione di Maria Maddalena. Nell'interno vi è una scalinata, formata da 22 gradini ed illuminata da tre finestre a strombo. Sotto ogni finestrella vi sono ricavate delle piccole nicchie. La chiesa è illuminata da due finestre ed è ancora visibile, sull'altare di fondo, l'affresco della Pietà dipinto nel 1737 dal pittore locale Domenico Gizzonio. A sinistra dell'altare, una porta immette nella sagrestia e in un vano diroccato. Si conserva ancora la piccola scala che porta alla clausura, ovvero una stanzetta di circa 3x3 metri, con una finestra ed un piccolo camino. Il romitorio da circa due anni è abitato dai giovani frati della congregazione del Cerreto, che vivono nell'antico spirito celestino di pura semplicità ed ascetico