
Imago Museum

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Come arrivare
Posto all’intersezione delle due principali arterie della città di Pescara, il Palazzo in cui oggi sorge l’Imago Museum venne costruito nel 1933 per ospitare la Direzione Generale del Banco di Napoli. Tra i migliori esempi di Razionalismo Italiano, l’edificio si contraddistingue per linearità di forme e volumi, incarnando magnificamente lo spirito di quella corrente architettonica, i cui principi erano la ricerca di funzionalità, il rifiuto degli elementi decorativi, la valorizzazione delle strutture essenziali mediante l’utilizzo prevalente delle tecnologie, l’osservanza della semplicità dei volumi, la corrispondenza tra forma e funzione, realizzando così, un’arte costruttiva libera, utile e adeguata ai bisogni dell’uomo. Un gioiello urbano, la cui ristrutturazione voluta fortemente dalla Fondazione Pescarabruzzo, è stata finalmente l’occasione per restituire al Palazzo dignità architettonica e urbanistica, votandolo, inoltre, alla reinterpretazione delle tendenze artistiche della contemporaneità.
L’esposizione museale è suddivisa su tre piani:
Piano A: Impressionisti nordici
La collezione della Fondazione Pescarabruzzo, composta da centodiciannove dipinti, dieci disegni e un’incisione, esposta in una ricca selezione nell’Imago Museum è divenuta con gli anni la più notevole rassegna di arte danese presente in Italia. Avviata nel 2010 per recuperare la memoria di un numeroso gruppo di artisti operanti intorno al maestro Kristian Zahrtmann (1843-1917), che avevano eletto loro Parnaso l’Italia e l’Abruzzo, in particolare il borgo montano di Civita d’Antino in Val Roveto, la raccolta parte dal 1877 con Henrik Olrik per arrivare al 1946, al termine del sogno nordico vissuto nella Penisola. In Abruzzo il caposcuola e gli altri artisti nordici cercano ispirazione dai soggetti – la vita del popolo, che in Italia appare loro primitiva, incorrotta, antica – e insieme la libertà del dipingere en plein air. Protagonisti dei dipinti di Zarhtmann, Krøyer, Skovgaard, Pedersen, Budtz-Møller e degli altri artisti presenti nell’esposizione, sono il paesaggio e la varia umanità ritratta con rispetto, amore per la verità e la dignità che trapela da ciascuna immagine.
Piano B: Realidad Spagnola
L’esposizione presenta 131 opere tra dipinti (100), serigrafie (20) e sculture (11) in un percorso denso e variegato che abbraccia una vasta selezione del figurativo contemporaneo, nella sua capacità di rappresentazione o trasposizione della stessa realtà verso un piano “altro”, anche immaginario e visionario.
Un ricco novero di artisti, ben 73 tra pittori e scultori, attivi soprattutto nella seconda metà del Novecento e annoverabili in un rapido susseguirsi di movimenti, di gruppi e di correnti stilistiche. Dalla ribellione morale e politica alla dittatura fascista e all’interpretazione retorica del “classicismo” parte la ricerca degli italiani esposti, che trovano il proprio humus anche intorno alla rivista Corrente (Sassu) e alla Scuola romana.
Accanto all’esperienza dell’Accademia di San Fernando, a Madrid, nasce e si sviluppa il nucleo in mostra degli esponenti della Realidad Spagnola (Hernandez, Mensa, Maya, Quetglas). Arricchiscono la narrazione le imponenti vedute sia interne che paesaggistiche di alcuni nordamericani (Forrestall, Carroll) cui il precursore della pop art Larry Rivers. Il fulcro della narrazione, giocando soprattutto con il binomio figurazione e realtà, si attarda a catturare l’apparenza e la verità, molto spesso per denunciarla, con quel margine superiore di divertimento consentito dall’ironia o con la deformazione dell’orrore, oppure rivolgendosi alla storia, come metro e misura per orientarsi nel presente. Per tutti basterà richiamare l’attività artistica, mai disgiunta dalla forte militanza politica, di Ortega a cui è dedicata un’intera sala espositiva.
Piano C: Warhol e Schifano, tra Pop Art e Classicismo
Due maestri, tra le figure più influenti dell’arte e della cultura contemporanea, sono presentati nell’insolito accostamento sintetizzato già dal titolo della mostra. Andy Warhol, padre della pop art, con la sua curiosità onnivora ci ha lasciato un corpus di lavori che ha abbracciato ogni mezzo disponibile, contribuendo a determinare il crollo dei confini tra la cultura alta e quella bassa. La sua immensa produzione, capace di dare “cittadinanza” all’oggetto industriale si è intersecata con tutti gli aspetti della cultura pop ed è racchiusa in mostra in opere originali dai colori brillanti quali serigrafie, stampe, fotografie, disegni, poster, manifesti e copertine di riviste: ben 101 lavori (resi disponibili dalla Rosini Gutman Collection) dal 1957 agli anni Novanta.
Mario Schifano, personalità emblematica della pop art non solo italiana, è rappresentato soprattutto dalla fitta trama di frammenti sottratti dal flusso televisivo e reinterpretati magistralmente. Sono esposte in mostra 301 foto ritoccate con smalti, che costituiscono il nucleo di una vasta produzione prevalentemente degli anni ’80. Dall’interesse per la tecnologia e dall’attrazione verso un flusso visivo si assiste ad un’intensa ricerca che testimonia l’impegno civile dell’uomo Schifano negli ultimi anni di esistenza, ovvero gli anni ‘90. Il ciclo Matres Matutae ne rappresenta il momento culminante. Attraverso 15 tele, 10 carboncini e 2 tecniche miste, tutte esposte, l’artista racconta una storia ancestrale, il mito della dea dell’Alba, della maturità, della pienezza della vita e della fecondità, tributando così il suo omaggio alla dimensione femminile e optando per un definitivo ritorno alle origini che, con il suo “classicismo”, egli di fatto non ha mai tradito.